Turandot, il sogno di Galileo Chini e Giacomo Puccini

2 Turandot, bozzetto atto II, scena II, prima versione, Ex collezione Chini

Galileo Chini realizzò le scenografie per l’opera Turandot di Giacomo Puccini fra il 1924 e il 1926; le scene, di grande suggestione, furono fortemente influenzate dai ricordi del suo lungo soggiorno in Siam, dal 1911 al 1913, quando il Re del Siam Rama V l’aveva chiamato a decorare l’Ananta Samakhom Trone Hall, il nuovo grandioso Palazzo del Trono. E fu proprio per questo profondo legame di Chini con l’Oriente, che Puccini lo volle al suo fianco per le scenografie di Turandot

Tratta da una fiaba drammatica di Carlo Gozzi, autore veneziano del ‘700, ed ambientata in una Cina fantastica, fu una creazione quanto mai tormentata, cui Puccini lavorò dal 1920 fino alla morte, avvenuta il 29 novembre del 1924 a Bruxelles. In essa Puccini unì sonorità della tradizione operistica italiana con le nuove ricerche tonali dell’epoca (vi si colgono riferimenti a Debussy e Stravinskij), assieme alla ricerca di motivi musicali esotici che potessero evocare l’antico Oriente. A questo scopo usò anche le sonorità di uno xilofono basso siamese, appositamente riprodotto da un esemplare che proprio Chini aveva riportato in Italia. 

La collaborazione

Chini e Puccini cominciarono a collaborare per Turandot all’inizio del 1924, e per Chini fu facile capire ciò che l’opera richiedeva. Già nel maggio del 1924, il 19, Puccini scriveva da Viareggio ai responsabili della Casa Musicale Ricordi, Valcarenghi e Clausetti: “Venerdi alle 5 verrà da voi Chini coi bozzetti-scene. A me pare che vada bene…”

Chini eseguì i bozzetti dei tre atti con cinque quadri in varie versioni: bozzetti di grande bellezza, dipinti con immediatezza e perfettamente in sintonia con la storia da raccontare, estremamente evocativi e come indispensabili alla musica. 

L’opera doveva andare in scena nel 1925, ma l’improvvisa morte di Puccini, avvenuta il 29 novembre del 1924 a Bruxelles, fece slittare la prima alla primavera del 1926. E così nel gennaio del 1926 Chini lavorava nei grandi saloni da scenografia posti sopra il palcoscenico della Scala, aiutato da Giovanni Magnone. 

Il teatro era stato rinnovato recentemente, migliorando l’illuminazione con oltre 400 lampade da 2000 candele; inoltre era stata installata la “Cupola Fortuny”, un particolare dispositivo illuminotecnico inventato da Mariano Fortuny, che permetteva cambiamenti graduali o rapidi della luce, con la possibilità di sfumare luci colorate raggiungendo effetti quasi pittorici, e Chini ne sfruttò a pieno le potenzialità per rendere ancora più suggestive le sue scenografie. 

Le cronache dei giornali dell’epoca raccontano che la sera del 25 aprile alla Scala si percepiva vivamente l’attesa di un evento eccezionale. Era la prima di Turandot, l’ultima opera incompiuta di Puccini, completata e diretta da Arturo Toscanini, e la serata fu memorabile in tutto: per la splendida partitura sonora, per la storia rappresentata, per la magnificenza delle scenografie in sintonia perfetta con la musica e per i bellissimi costumi realizzati da Caramba con l’aiuto di Chini, che furono utilizzati solo per le rappresentazioni alla Scala. 

Oltre all’eccelso valore artistico della rappresentazione, la serata rimase poi nella storia per la commozione che colse tutti i presenti quando Toscanini, dopo la morte di Liù, interruppe la musica e voltandosi verso il pubblico, con voce rotta dall’emozione disse: “Qui finisce l’opera, rimasta incompiuta per la morte dell’autore.”